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ENZO (IL "GATTINO" DI PONTE A EGOLA)

03-07-2022 06:11 - News Generiche
Enzo Pratelli, classe 1945, nato in uno scantinato, affacciato sulla vecchia via fiorentina-pisana a Ponte a Egola, era per tutti il “Gattino” anche se i gattini, erano due, ma il fratello da anni era ospite del manicomio di Volterra.
La mamma era detta la Gatta, perché quando faceva l'amore col marito, un povero diavolo mezzo ammazzato dal vino e dalla miseria, la sentivano urlare come i gatti fino alla curva di Tognarino.
“Come fa la Gatta, come fa?” gli chiedevano i soliti sfaccendati sulla piazza Spalletti. E lui imitava i berci dei gatti, curvava le dita come artigli, inarcava la groppa, stringeva gli occhi. E tutti giù risate specie Imperio, il peggiore di tutti.
Enzo era mite. Mai che si fosse alterato nonostante i piccoli e grandi dispetti che subiva continuamente. Io lo salutavo ogni volta che lo incrociavo appoggiato ad una colonna del giardino del Parchi, all'imbocco di via Piave con via Diaz e fumava le nazionali fino alla cicca ridotta a una velina.
“Valerino dove vai”? Mi chiedeva con la voce rugginosa ma con inflessione infantile e strascicata.
“Vado a fare le uova.” Rispondevo sorridendogli. Lui pareva crederci e non crederci. In effetti non era proprio scemo, e sono convinto che si divertiva di quella finzione. Spesso al ritorno me lo trovavo di nuovo davanti a chiedermi se avevo fatto l'ovo e che glielo facessi vedere.
Le scarpe erano la sua ossessione e la sua debolezza. Bastava niente: che gli ci cadesse una foglia, che si bagnassero per un po' di pioggia, che se le impolverasse, e allora stava accuratamente e meticolosamente a pulirle con il fazzoletto che poi riponeva in tasca.
La sua vita si svolgeva con regolarità. Al mattino a chiedere un po' di ciaccino al forno del Brunelli; verso l'ora di pranzo ad accattare le cento lire ma con discrezione, in modo naturale come un respiro tranquillo.
Prima di cena era l'ora della passeggiata dalla curva di Tognarino fino verso il ponte e poi la sosta alla solita colonna fino a quando l'urlo della gatta non lo chiamava per la cena. Allora muoveva le sue gambe steccolute a X per colpa di una valgite pronunciatissima, s'infilava in casa, e non lo vedevi più fino al mattino seguente.
La sua vita ebbe una svolta in negativo quando, con le nuove norme sul recupero dei malati di mente, il fratello detto Mangiabuzzi, perché mangiava i buzzi dei conigli, fu scaraventato dal manicomio, a far compagnia alla Gatta, al padre sempre più sfinito, e a Enzo che scoprì la fine del quieto vivere.
Con il nuovo arrivo le carognette paesane si sentirono ringalluzzite e aizzavano i poveri fratelli l'uno contro l'altro.
Mangiabuzzi, messo su da qualche malevola voce, comincio a chiamare Enzo con l'appellativo di Conte, per quella sua mania di essere sempre in ordine.
Un giorno i due fratelli, messi su dai soliti ragazzacci e non solo, furono convinti a fermare il treno per andare a Pisa.
Salirono sul ponte della ferrovia, stesero le biciclette sui binari e attesero. Naturalmente il treno – una locomotiva diesel - si fermò. E altrettanto naturalmente i due fratelli furono accalappiati dai carabinieri e portati in caserma.
"S'è fatta grossa!" Ripeteva Enzo rivolto al fratello, cercando a modo suo di accattivarsi la benevolenza del maresciallo senza accusare nessuno perché Enzo era buono, perdonava in silenzio tutte le angherie, i soprusi, e voleva bene a Mangiabuzzi.
Tutti lo videro piangere come un bambino disperato il giorno che glielo portarono al cimitero, avvelenato per aver trangugiato sporcizie di ogni genere raccattate dai bussoli della spazzatura. Rimasto solo, dopo la morte della Gatta e del babbo, Enzo finì i suoi giorni a Volterra, con le scarpe sempre lucide e la cicca da bruciarsi le mani.

Fonte: Valerio Vallini (Facebook)

Nella foto: Enzo Pratelli detto Il Gattino, in un ritratto ad opera del pittore santacrocese Giuseppe Lambertucci, effettuato al Bar del Ponte nell'inverno del 1974.

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