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IL PRESEPE DEL DOPO GUERRA

10-12-2020 06:00 - News Generiche
E’ un ricordo dolce. Ogni anno ritorna e scalda il cuore.
Sono le mie casine del presepe, quello di ieri e quello di oggi. Sono il volto di un’arte antica e raffinata.
In quelle casine non c’è soltanto la mia devozione e quella della mamma, ma la pazienza, la maestà della natura, le trasformazioni di un paesaggio. Bellezza e mistero.
Il mondo reale e quello di carta si sovrappongono con passione e tenerezza.
Quelle casine le facevo con la mamma, il nostro era un lavoro di squadra. Io costruivo. Lei dipingeva.
Prendevo coì un pezzetto di legno, spesso circa un centimetro, con due pezzetti di cartone facevo il tetto e lo fissavo a legno con dei chiodini.
Il secondo atto era quello della decorazione, una miscela poetica di gesti e riti, di tradizioni e regole.
La mamma pitturava con decisione, curando il disegno nei minimi particolari.
Comprava la polvere colorata in mesticheria e la colla era quella da falegname, fatta a panetti. Poi la scioglieva con l’acqua calda e la mescolava con la polvere. E dipingeva finestre e porte.
I colori erano tenui, un pò spenti, quasi soffusi. Per giorni rimanevano nell’aria quegli odori, che insistenti si mescolavano a quella della legna bruciata.
Adoravo il crepitio dei grossi ciocchi che, lenti, ardevano e ci regalavano il giusto tepore in quelle giornate fredde che, solenni, precedevano il Natale.
Con la mamma si sceglieva un angolo della cucina ben visibile e, come sempre, si metteva la borraccina.
Nel frattempo anche le casine con i colori ben asciugati erano pronte per essere sistemate insieme ai personaggi di gesso lungo i vicoli silenziosi spruzzati di candida farina.
Il presepe era piccolo, era un segnale tipico del Natale.
Da allora qualche personaggio si è rotto, il gesso si sa è fragile, ne ho comprati altri.
Sono nuovi due angeli e la stella sulla capanna, le lucine che non funzionavano più, ma le tre casine ci sono ancora.
Stasera come sempre le ho prese dalla scatola, ho tolto la carta con cui ogni anno le incarto, sono ancora in buono stato, eppure un po’ di tempo è passato.
Prima di collocarle vicino ai pastori e alle pecore le guardo. Ed esse si lasciano guardare.
Chissà, si sentiranno importanti di esserci ancora, nonostante tutto, superstiti di tante avventure.
Gli ammacchi non le hanno sciupate, semmai le hanno rese più interessanti, veri e propri oggetti di antico artigianato familiare.
Un’ ultima spruzzata di farina ed il presepe è pronto.
Rivolto verso la finestra ancora aperta e guardo fuori, un fiocco si muove galleggiando nell’aria controvento, mentre un soffio lo trascina verso altri fiocchi.
Poi un altro e un altro ancora fino che centinaia di fiocchi riempiono l’aria. In lontananza le luci delle case illuminano la notte.
Tutto sembra un meraviglioso presepe.

P.B.

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