IL PALLONE ALL'ORATORIO PIU' FORTE DEI DIVIETI. QUANDO IN PARROCCHIA CRESCONO I CAMPIONI
03-03-2021 06:27 - News Generiche
Da Rivera a Mazzola a Baresi e Maldini so sport in chiesa è stato il primo amore per intere generazioni.
Una sentenza del tribunale civile di Palermo ha “riammesso” il pallone nella parrochia di Santa Teresa del Bambin Gesù.
Una precedente ordinanza, accogliendo il ricorso di alcuni residenti, aveva vietato di fatto ogni attività sportiva.
Chi non è mai stato a giocare a calcio in oratorio, scagli la prima pietra, o meglio tiri la prima pallonata.
Abbia il pudore di stare zitto chi insinua di non provare un brivido di nostalgia (dolce e per nulla canaglia) ogni volta che ascolta il Celentano di “Azzurro”: “Sembra quand'ero all'oratorio / con tanto sole tanti anni fa / quelle domeniche da solo / in un cortile a passeggiar”).
Campi di calcio polverosi, erba più rara di un quadrifoglio, palloni pesanti come zucche, porte traballanti e sprovviste di reti.
Battaglie furiose prima che la voce stentorea del prete richiamasse i contendenti per la scuoletta di dottrina.
Oratori fucine di campioni dell'arte pedatoria.
“Ho cominciato – rievocava Gianni Rivera – a giocare all'oratorio salesiano di Alessandria. Prima di Nereo Rocco, ho avuto tre padri calcistici, don Piero, don Fiippini e don Cerchia”.
Un suo quasi coetaneo fa lo stesso a Torino, in un altro oratorio dei Salesiani, la Crocetta. E' proprio sotto casa e Sandro ci passa le ore, fino a quando papà Valentino non si presenta a prelevarlo.
Un sogno che si infrange sulla collina di Superga, un giorno di maggio del 1949, con lo schianto dell'aereo che porta il Grande Torino.
Sandro Mazzola, la mamma, il fratellino Ferruccio vanno ad abitare prima a Cassano d'Adda, poi a Milano, al Ticinese.
La passione per il calcio non si cancella. Qualcuno lo nota. Si chiama Benito Lorenzi, detto “Veleno” per la grinta che mette in campo, dove è una colonna dell'Inter. E' un uomo generoso e non dimentica che è stato Valentino a farlo esordire in Nazionale.
S'interessa ai suoi ragazzi, li porta spesso a san Siro. Sandro Mazzola ha quattordici anni quando indossa per la prima volta la maglia nerazzurra.
Prima degli epici scontri della sua Inter contro il Milan e prima che Brera lo ribattezzi “Bonimba”, il mantovano Roberto Boninsegna respira aria di derby nelle sfide fra la squadra dell'oratorio di Sant'Egidio e gli Aquilotti.
Marco Tardelli è un bambino e lo chiamano “fil di ferro” tanto è magro quando scende in campo per le partitelle a sette sul campetto di Santa Caterina e San Francesco, a Pisa.
Destinato a difendere i pali di Fiorentina, Inter e della Nazionale, Francesco Toldo parte come attaccante (modello Gigi Riva) con l'Unione Sportiva Maria Ausiliatrice, oratorio di caselle di Verrazzano (Padova).
A Villa Raverio, frazione della brianzola Besana, debutta Demetrio Albertini insieme con il fratello Alessio.
Demetrio insiste con il calcio (e ha ragione). Alessio entra in seminario, ma non rinuncerà a convocare il fratello per sfidarlo in quel fazzoletto a un passo dalla parrocchia.
“Sono molto legato agli oratori - - ricordava due anni fa Paolo Maldini alla presentazione delle Olimpiadi degli Oratori – perché ho iniziato lì la mia carriera. Quando ho iniziato a giocare nel Milan non si poteva essere iscritti prima dei dieci anni. Quindi da sei ai dieci ho sviluppato le mie caratteristiche all'oratorio”.
Quanta commozione quel giorno di ottobre del 1994 a Travagliato. Doppio addio. Beppe Baresi, a 36 anni, ha chiuso ufficialmente la sua carriera. Franco, più giovane di due anni, rimane in attività con il Milan ma una settimana prima ha detto basta alla Nazionale.
Un “Baresi day”, là dove tutto è cominciato: all'oratorio. Terra bresciana, terra di campioni.
Lo sa anche don Mario Turla, parroco di travagliato, che mica si offende se i forestieri non gli chiedono la strada per l'oratorio, ma quella per il campo dei fratelli Baresi.
Fonte: Gabriele Moroni – La Nazione
Nella foto: i fratelli Franco e Beppe Baresi.
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