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RAOUL CASADEI, UN SIMBOLO DELLA RINASCITA

16-03-2021 06:30 - News Generiche
Raoul Casadei era l'Italia spensierata, e la musica dell'orchestra di suo zio Secondo prima e sua poi fu la colonna sonora dell'Italia della Ricostruzione, di quella del boom economico, e anche di quella inquieta e ribelle degli anni Settanta.
Guccini annunciava che Dio era morto, De Gregori vi aggiungeva l'uccisione di Babbo Natale, Vecchioni galoppava tutta la notte fino a Samarcanda per incontrare la morte, Dalla faceva dire ai suoi personaggi “siamo gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri, e non abbiamo da mangiare”; e lui andava col liscio, tra spiagge romagnole, vendemmie, navi del sole, sangiovese, musetti acqua e sapone, amori o almeno simpatie.
Nato prima della guerra, cresciuto nell'era pre-televisiva, Casadei fece ballare l'Italia del miracolo industriale al ritmo delle musiche dell'Italia contadina, che man mano si spegneva ovunque tranne che sul suo palco sempre aperto, in qualsiasi stagione, anche due volte al giorno, primo concerto il pomeriggio secondo la sera.
Noi ragazzi ascoltavamo i cantautori e trovavamo un po' imbarazzante; anche perché ogni famiglia c'era uno zio che nel calore postprandiale tirava fuori la fisarmonica o una cugina che le canzoni di Casadei le sapeva tutte a memoria.
Ma forse avevano ragione loro, che dalla Romagna – vero ombelico d'Italia, un posto dove sono efficienti come i lombardi e calorosi come i napoletani – avevano portato tutta la nostra sterminata provincia i suoni della balera, delle notti d'estate, dei filarini, dei balli stretti stretti.
Raoul Casadei – poi affiancato dal figlio Mirko – era il nostro piccolo Charles Trenet, che al malamore degli chansonnier contrapponeva la gioia di un cuore che fa bum-bum. Ci vuol altro che un virus per fermarlo davvero.

Fonte: Aldo Cazzullo – Corriere della Sera


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