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LA PESTE DEL MANZONI E IL CORONAVIRUS (di Antonio Martini)

05-04-2020 06:27 - News Generiche
Visto che dobbiamo restare a casa, una lettura o rilettura dei Promessi Sposi del Manzoni, ci farà capire le analogie e le differenze della Peste del 1630 con il Coronavirus.
Nel 1630, furono devastate dalla peste le città di Milano, Bergamo, Como, Venezia, Padova, Verona, Bologna, Parma, Modena e Firenze.
Nel 1630, Milano salì presto in cima alla classifica di morti e contagi, seguita da Venezia e Verona. Nella sola Milano, probabilmente, i morti di peste oscillarono tra 140.000 e 160.000.
In poco tempo, le città principali arrivarono a perdere anche il 50% o addirittura il 60% dei propri abitanti: tutto ciò avvenne nel quadro socioeconomico di un paese già afflitto da altre gravissime epidemie con le quali si era chiuso il Cinquecento: vaiolo, malaria, tifo.
Le immagini di strade e piazze spettrali che oggi occupano i TG, nel XVII secolo, erano sostituite da quelle di monatti e apparitori, i quali circolavano, rispettivamente, per trasportare i cadaveri e per avvertire la gente del passaggio.
Anche allora come oggi l'arrivo dell'infezione non fu creduta tant'è che in piena epidemia a Milano, le autorità concessero addirittura una processione religiosa cui prese parte tantissima gente.
Il Manzoni nei Promessi Sposi all'inizio dice che non era peste assolutamente no, poi ammette la epidemia ma con qualche perplessità, poi alla fine parla di peste "senza dubbio" ma frutto di "benefizio e malefizio”.
E che dire della popolazione? Si narra che, nel primo periodo, le persone, contravvenendo sia alle norme del buon senso sia alle indicazioni dei medici, nascondevano i malati in casa, incuranti delle conseguenze.
Il Manzoni scrive che -“sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo iracondo".
Quelli che dicevano -"è solo una brutta influenza?". C’erano anche allora: "Deridevano gli augùri sinistri e avevano pronti nomi di malattie comuni per qualificare ogni caso di peste".
E le fake news? C’erano pure allora, come quella degli untori nel Duomo di Milano che sparsero la peste a Don Ferrante convinto di morire non per un contagio, ma per una malevola congiuntura astrale.
E le teorie complottiste? C’erano anche allora: dice il Manzoni: "Erano tanto più disposti a trovarci qualche altra causa: arti venefiche, operazioni diaboliche, gente congiurata a sparger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malie".
Le tesi del complotto si moltiplicano a dismisura: “Ed oggi? Il coronavirus fa parte di un piano di controllo del mondo”, “Il coronavirus è stato introdotto dagli americani”, “Il coronavirus è un’arma biologica” e così via.
Quattrocento anni fa, si era sviluppata la caccia agli untori, cioè a persone che, a detta dei complottisti secenteschi, andavano in giro con unguenti venefici a infettare le persone, cosicché chi veniva sospettato d’essere un untore o semplicemente aveva atteggiamenti sospetti, veniva immediatamente linciato.
E gli ospedali? Allora come oggi, il peggior timore è quello del collasso del sistema sanitario nazionale.
Nei Promessi Sposi il Manzoni racconta che: ”Nel lazzeretto, dove la popolazione, quantunque decimata ogni giorno, andava ogni giorno crescendo, era un’altra ardua impresa quella d’assicurare il servizio e la subordinazione, di conservar le separazioni prescritte, di mantenervi in somma o, per dir meglio, di stabilirvi il governo ordinato dal tribunale della sanità: chè, fin dà primi momenti, c’era stata ogni cosa in confusione, per la sfrenatezza di molti rinchiusi, per la trascuratezza e per la connivenza de’ serventi".

Antonio Martini


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