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I GREGGI RACCONTANO - ASPES E LO SCIVOLO

15-12-2020 06:30 - News Generiche
Eravamo circa a metà luglio di quell'estate del 1980.
Al bar Cuoiopelli era una di quelle serate un po' monotone, era un martedì sera, l'orologio segnava già mezzanotte e venti.
Mario (gestore del bar), come al suo solito, era intento a fare le pulizie al locale prima della chiusura che, di lì a poco, sarebbe avvenuta, mentre Matera e Giovanni erano appoggiati al banco, intenti a sorseggiare una birretta.
Noi eravamo fuori del bar che si affacciava nel Corso e potevamo vedere bene che, alla nostra sinistra c'era il Circolo Primavera, dove il barista era intento a togliere le sedie che erano fuori dal bar e, alla nostra destra un po' più avanti, c'erano le sedie del bar Greco, con tre persone che erano rimaste. Se non sbaglio erano: Sindona, il Rosi e Pitena, altri tre personaggi storici della nostra Santa Croce.
Mentre noi (io, Dollaro, Seghetto, Bercini, Ugo, Pavolucci, Puccio, Biagio, Marco Nuti e il mitico “Giuliano Mugno detto anche Aspes”- e qui dovete sapere che Giuliano aveva sì la bici, ma lui pensava di avere un motore ed era sempre a fargli il verso mentre andava in bici con le relative cambiate e, sbavando con l'aumentare dei giri del motore, un must erano le sue partenze con tanto di riprese e cambiate degne di blasonati motori) - e, mentre parlavamo del più e del meno, vediamo arrivare il Toni, di ritorno dalla sua fidanzata Renata (che poi sarebbe diventata sua moglie); infatti era un classico tutte volte che tornava da casa sua (di lei) passava sempre dal bar a fumare una sigaretta, scambiare qualche discorso con chi trovava prima di andare a letto.
Tra una parola e l'altra non so come, viene fuori una frase rivolta a Giuliano in gesto di sfida: "Ma te, ce la fai a salire l'argine dei giardini che porta alla parte superiore che va verso l'Arno?".
Giuliano raccolse subito la sfida e, con un secco bahò, ci ritrovammo in un amen tutti Surarno.
Era quasi l'una di notte, a quel tempo i giardini di Santa Croce erano i giardini per eccellenza: belli, semplici, ariosi, illuminati, insomma belli (forse perché li vivevamo di più, complici della nostra giovinezza fatto sta che, nel frattempo, ci avevano raggiunti anche il Cavallini e il Tiboccio, anche loro frequentatori assidui del bar, facenti parte di quella cerchia di persone che spesso e volentieri facevano la chiusura del bar. Intanto Giuliano aveva incominciato a prendere la rincorsa con la sua bicicletta e, mentre saliva l'argine con il rumore che usciva dalla sua bocca imitando un motore, sbavando e ansimando, perché a ogni rincorsa il suo respiro si faceva sempre più veloce e affannoso dato lo sforzo. Fermatosi un attimo a prendere fiato, mentre noi a turno lodavamo il suo motore e le sue gesta, lui compiaciuto, ci stava doviziando di particolari che aveva usato e, spiegandoci che in quel passaggio era in seconda marcia e in tal altro in terza marcia e così via, fermo restando che intanto aveva già acceso una bella sigaretta e, sempre col respiro affannoso, ne faceva ampie “speate”.
Tutto a un tratto il Toni esclama: “Te Giuliano, con il tuo talento, potresti scendere anche lo scivolo con la tua moto? Sempre se il tuo motore è buono". Questo per coglierlo ancora più nel vivo (lo scivolo dei bambini si trovava nella parte alta dei giardini pubblici, era una struttura in ferro situata quasi all'entrata dell'accesso ai giardini venendo dal ponte dell'Arno) e Giuliano, come chi si sente preso nel vivo senza pensare a chi o che cosa stesse per accadergli, gli risponde quasi istantaneo: "Bahò, io vo' dappertutto!".
E qui anche noi, come fossimo un'orchestra cominciammo a portargli argomentazioni per convincerlo, chi diceva che lo aveva fatto con le scuole, chi diceva che era anche una prova per prendere la patente, chi diceva che lo faceva per vedere se c'erano difetti al motore, insomma le "m...e", (anzi diciamolo chiaramente, il branco che si accanisce contro il malcapitato di turno, inerme certe volte anche al limite del consentito, o anche oltre, ma il gioco era proprio quello) che erano dentro di noi, davano sfogo a tutta la fantasia immaginabile, praticamente volevamo convincerlo a montare sopra lo scivolo con la bicicletta e lasciarsi andare giù.
E lì vedevo già la scena negli occhi della gente, che pregustava il momento della caduta; lo si percepiva benissimo nell'aria perché era proprio quello l'intento.
Giuliano scoteva la testa non ne voleva sapere e ci diceva: “Voi siete ciucchi” e lì aveva tutte le sue ragioni, ma noi imperterriti come quando i cani da caccia braccano l'animale e poi lo trovano, ecco noi imperterriti non lasciavamo certo l'osso casi facilmente, chi gli offriva l'ennesima sigaretta per addolcirlo, chi lo faceva accendere, lo volevamo far sentire un re senza che fiutasse la trappola ma era dura, il Toni rompe gli indugi e in un momento si fa dare la bici monta sullo scivolo e incomincia a sviscerare tutti i particolari di come andava fatto, come se fosse stato un professore della Sorbona. E noi tutti a suggerirgli particolari o avvalorargli le tesi che sosteneva, mentre Giuliano con la sigaretta in bocca, con il fumo che gli andava negli occhi e mentre con una mano se li strofinava per via del fumo, scoteva la testa e ci diceva: “Lui è ciucco”. Noi a stemperare a dirgli che era fattibile, il Tiboccio a dire che al Cintolese c'è stato fatto anche il campionato toscano, ma lui non ne voleva sapere.
Ad un tratto una voce ferma e con tono deciso squarciò la quasi oscurità. "Che ci fai te lassù?", rivolgendosi al Toni.
Appena ci voltammo, i nostri sguardi incrociarono due divise dei Carabinieri.
Il sangue che fino allora scorreva a mille per per l'adrenalina ci si gelò all'improvviso. Davanti a noi si materializzarono due figure.
Una era lo "Sceriffo", l'altra un semplice carabiniere giovane; anch'egli fissava il Toni, con la bici sopra lo scivolo, con stupore e incredulità.
Devo fare un'appendice per lo "Sceriffo". Chi della nostra generazione non se lo ricorda, fondamentalmente lo ricordo come una brava persona, ligia alla divisa. Lo trovavi ovunque, sulle strade, nelle piazze in paese, certe volte al bar faceva anche delle battute per ammorbidire il personaggio che si era creato.
A quel tempo noi eravamo sempre un pò dalla parte del torto, perché quando hai 18/20 anni è difficile seguire le regole.
E poi ricordiamoci che il comandante della caserma dei carabinieri era il mitico maresciallo Cascone che, quando passava al bar Greco a prendere il caffè e ci vedeva lì davanti, confabulanti, a chi passava vicino gli lasciava andare uno scappellotto dicendo: "Attenzione, fate ammodo guagliò”, col suo accento meridionale.
Ritornando all'incontro con lo "Sceriffo" ci fu un momento di silenzio assoluto.
Sentivamo solo gli scricchiolii dei sassolini dei giardini sotto le sue scarpe di cuoio, venendoci incontro con la stessa mano che reggeva i guanti, alzandola e puntandola verso il Toni che nel mentre era rimasto impietrito con la bici sullo scivolo.
“Allora vuoi scendere o no?", invitato a scendere, lo "Sceriffo" cominciò a domandarci il perché a quell'ora fossimo lì e in quelle circostanze, lui aveva già capito la situazione, non gli ci era voluto molto a capire cosa stessimo organizzando avendo visto Giuliano lì a terra e la sua bici sopra lo scivolo con il Toni.
Cominciò a farci la ramanzina data l'ora e poi ci disse così: “Ma siete proprio dei rincoglioniti a fare una cosa del genere!”.
E qui Giuliano tirò fuori una frase che valeva tutta la serata. “E' vero, diglielo, é ciucco lui”, rivolgendosi al Toni, -"io ho la Kawasaki 750 ma per andare lassù mi ci vuole la 1000".
In un attimo i nostri visi cupi accennarono a un sorriso contenuto dato che non potevamo ridere nel viso allo sceriffo.
Lui accortosi subito della battuta di Aspes su di noi esclamò subito: “Allora non ci siamo capiti”, girandosi verso il Toni, “Tu domattina vieni in caserma che ne riparliamo e voi levatevi di qui che non vi voglio più vedere”.
Il Toni quasi sottovoce, esclamò: “Eccoci, vai” e ci allontanammo mesti, verso il bar Cuoiopelli dove avevamo lasciato chi i motorini, chi la macchina con il Toni che borbottava: “Vai lo sapevo che toccava a me, maremma impestata”.
E noi che cercavamo di consolarlo: “Dai, vedrai che ti farà solo una romanzina”. Insomma, parole di circostanza che si dicono a un amico.
Anche se sotto sotto, dentro di noi, non vedevamo l'ora di essere a l'indomani per poterlo raccontare a tutto il bar.
Il bello di tutto quello che ci accadeva non era tanto farlo, ma raccontarlo, anche perché i racconti passavano di bocca in bocca e c'era sempre chi toglieva qualcosa e chi aggiungeva qualcosa. Ma il bello era anche quello, certe volte si creavano anche falsi miti.
Per concludere queste erano alcune delle nostre serate più calme, senza senso, ma bastava un attimo ad accenderle e farle diventare racconti per i posteri questa sicuramente fu una serata tranquilla ma che dà il senso che la fantasia non ci mancava.

da "I Greggi raccontano"

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